BIOGRAFIA
Marianne Brandt nasce nel 1893 a Chemnitz, in Germania.
Studia pittura e scultura alla Grobherzoglich-Sächsischen Hochschule für Bildende Kunst di Weimar dal 1911 al 1917.
Si iscrive al Bauhaus net 1924 e frequenta il corso propedeutico di Josef Albers e Moholy-Nagy.
E’ allieva di Paul Klee e Vasilij Kandinskij. Si specializza nella lavorazione dell’argento.
Nel 1927 è nel laboratorio del metallo in qualità di collaboratrice; ne assumerà la vicedirezione dal 1928 al 1929.
Dal 1928 al 1929 collabora con Gropius a Berlino. Dal 1930 al 1933 è responsabile del design presso Ruppelwerk a Gotha.
Docente dal 1949 al 1951 alla Hochschule für Bildende Künste di Dresda, insegna dal 1951 al 1954 alla Hochschule für Angewandte Kunst a Berlino.
E’ consulente negli stessi anni presso l’Institut fur Angewandte Kunst. Marianne Brandt è tra le prime donne a occuparsi di design. Rientra a Chemnitz nel 1954 e si dedica a pittura, tessitura e fotografia.
Muore a Kirchberg nel 1983.
MARIANNE BRANDT DESIGNER
La Korting & Mathiesen di Lipsia avvia nel 1927 la produzione di Kandem di Marianne Brandt, uno dei modelli di lampade più conosciuto della progettazione Bauhaus.
“La collaborazione con la fabbrica Osram di Berlino e ancor più quella con la ditta Korting & Mathiesen di Lipsia, nota anche con il nome di Kandem“, spiega Olaf Arndt, “possono essere considerate due circostanze fortunate, il cui merito va attribuito soprattutto all’attività personale di Marianne Brandt”.
A partire dal 1927 fu cosi possibile vendere i primi prodotti, tra cui un gran numero di oggetti come lampade da tavolo, da parete e a stelo che oggi sono dei classici e che sono tuttora disponibili sotto forma di riedizioni.
Se a Weimar l’officina si occupava di produrre in piccoli quantitativi e con regolarità candelabri e lampadari a bracci the davano luogo a interminabili dibattiti sulla mistica della Luce e sul valore simbolico delle candele del tempio, ora al centro dell’attenzione erano la chiarezza razionale e la trasparenza.
Marianne Brandt arrivò presto a formulare una sintesi dell’idea stessa di lampada, rifiutando quasi per principio l’applicazione del consueto diffusore in vetro opaco dalle forme arbitrarie e mettendo invece in risalto il corpo illuminante stesso, cioè la lampadina.
La reazione violenta da parte dei nostalgici della tradizione non si fece attendere, e Brandt fu accusata di nudismo nonchè di accentuare eccessivamente l’aspetto tecnico con finalità spesso discutibili, dato che il bulbo privo di schermature produceva un effetto di abbagliamento.
Certamente questi prodotti corrispondevano con la massima tranquillità a una teoria che prescriveva sintesi, senso della struttura logica…
“Lentamente ci si abituerà a questi oggetti che a un primo sguardo sembrano estranei, e d’improvviso si comincerà, a capire quanto tutto ciò sia chiaro e magnifico“.
Quanto alla ricerca progettuale nelle differenti sezioni sperimentali del Bauhaus, “più continua risulta nell’officina dei metalli”, commenta Renato De Fusco, “specie per ciò che attiene lo studio delle lampade.
…fino ai vari modelli ideati da Marianne Brandt (lampade sospese a soffitto 1926, a saliscendi, lampade da comodino Kandem (1927), le lampade a globo 1927-1928, a bracci snodabili etc..) è tutto un succedersi di prototipi rispondenti ad una unitaria linea del gusto e della funzione.
…L’originalità delle lampade citate e delle numerose altre, a parte la lezione di Behrens, sta soprattutto nel fatto che sono svincolate da ogni tradizione. Cosicchè, l’intenzione estetica non manca, ma e una ricerca di un’estetica ricavata dall’aderenza, anche al meccanismo funzionale”
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