BIOGRAFIA
Miguelangel, detto Miguel Galluzzi nasce nel 1959 a Buenos Aires.
Si iscrive nel 1983 all’Art Center College of Design di Pasadena, ove consegue la laurea con indirizzo in industrial design, transportation design nel 1986.
Nello stesso anno si trasferisce a Rüsselsheim, in Germania, alla Adam Opel A.G. in qualità di car designer, assegnato alla S-Car/Corsa Studio, e si dedica ai progetti della S-Car 88 e della S-Car 91.
Nel 1987 è senior car designer e gli viene assegnato lo studio del V-Car/Omega.
A Offenbach (Germania), nel 1988, e presso Honda R&D Europe con la carica di motorcycle designer.
Si trasferisce in Italia e, a Milano, lavora presso il Centro Studi Design Honda. Nel 1989 è attivo presso Cagiva, a Varese, in Iqualità di motorcycle chief designer.
In quel momento il gruppo Cagiva comprende Ducati Motor di Bologna.
Progetta lo scooter Taiwan 150 e nel 1990 Cagiva Supercity.
Nel 1991 attende al programma Cagiva City scooter. Nel 1992 progetta Ducati M900 Monster, che entra in produzione nel 1993.
Dal 1997, al centro Crimson, creato alla Cagiva nel 1994, è responsabile del design, dell’immagine e della grafica. Vive e lavora a Varese.
MIGUEL GALLUZZI DESIGNER
“Volevo assolutamente disegnare una moto nuda”, dichiara Miguel Galluzzi, “ero convinto non occorresse altro al motociclista che una sella, il serbatoio, il motore, due ruote e il manubrio.
Mi accorsi subito che la 851 Ducati (Cagiva aveva rilevato la casa di Borgo Panigale) era la massima espressione di affidabilità tecnologica del momento.
Io non volevo infatti rifarmi alle moto del passato, non doveva essere la mia operazione dettata da inutile e ridicola nostalgia.
Era mia intenzione dimostrare che la moto per il diporto doveva corrispondere al mezzo più attuale possibile, e questo senza l’obbligo di un assetto ostinatamente corsaiolo.
Ecco allora che nell’estate del ’91 impiegai l’intera ciclistica della 851 assieme al motore 904 cc, a 2 valvole, raffreddato ad aria/olio della 900GSC.
Nasceva il prototipo della M900, avrebbe avuto nome Monster”.
“Monster, cioè mostro, ciò che si mostra, che si da a vedere come stranezza.
Il Monster, in particolare, mette a nudo se stesso, passando dall’esasperazione della copertura, del tutto chiuso, dove la potenza si significa per sottrazione arcana, all’esibizione del tutto aperto, del meccanismo in piena vista.
Non a caso il telaio, filiforme e leggero, è il tratto più vistoso e formalmente efficace di questa moto.
Si tratta forse ancora di un ritorno, o meglio di una rilettura del passato se vogliamo.
Dalla fluidodinamica alla meccanica, dall’impuro al puro, dove la simbologia esibita è quella antica della muscolarità, della maschilinità motoristica”.
Indubbiamente l’osservazione di Carmagnola coglie nel segno.
L’intenzione di comunicare in modo nuovo la potenza è ben manifesta che, come afferma Galluzzi, nel Monster essa non ha senso di velocità, bensì di sicurezza, di affidabilità, per questo esibita nella poderosa architettura degli apparati tecnologici responsabili, non protetta, celata da armatura alcuna.
Colpisce all’impatto l’appeal sensuale della forma Monster.
Una curva dolce, suadente, disegna il serbatoio leggermente bombato, di ragguardevoli proporzioni, scivola poi a valle a incontrare la definizione della sella, risale a delimitare il picco di coda, sovrastante una protesi a sbalzo con funzioni di reggitarga e indicatori posteriori di direzione.
“Il futuro della moto a mio parere è nelle mani dei progettisti”, conclude Galluzzi, “che dovranno sempre più attendere al significato ludico dell’oggetto.
La moto dovrà ancor più rappresentare il premio…mai potrà essere consumo legato al bisogno: la moto non è un mezzo, è un gioco e i giochi si scelgono”.
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