Nel 1954 venivano presentati alla Mostra dell’Artigianato due prototipi della collezione Monofilo: Farfalla e Artigianato, sedia e poltrona dall’aspetto “singolare“, simili nella tessitura ad una racchetta da tennis, così come riportava un articolo di “Domus”, che ottennero il Premio della Giuria proprio perché rifiutavano qualsiasi condizionamento pseudo-tradizionale.
Gli autori della serie sono Luciano Grassi, Sergio Conti e Marisa Forlani, tre architetti che fondarono uno studio associato nel quartiere Santo Spirito di Firenze agli inizi degli anni ’50.
La collezione Monofilo, nei modelli e nelle strutture elaborate da Grassi e soci, riuscì a tradurre nella realtà l’equilibrio fra elementi contrastanti.
All’idea di trasparenza e leggerezza che questi oggetti esteticamente proponevano, corrispondeva una forma funzionale, solida ed organica, raggiunta attraverso molteplici sperimentazioni.
Monofilo significava costruire con nylon e ferro. Dai rapporti e proporzioni tra questi materiali nascevano le strutture della contemporaneità, assemblate per innovare e accogliere, nuovamente, la figura umana.
La serie, progettata fra 1953 e 1966, si componeva prevalentemente di sedute, sedie e poltrone, a cui si affiancavano altri oggetti d’arredo, per un totale di tredici elementi: le poltrone Artigianato (1953-1955), Antiquariato (1962), Fischer (1958) e Cesto (1959), la sedia Farfalla (1953), lo sgabello Triangolo (1959), il divano Silvano (1966), una testiera letto (1953), il letto Solario (1959), un sedile auto (1960), due poltroncine, una senza un nome specifico (1957), e la Napoleone (1956).
Del modello Artigianato vennero realizzate due versioni a distanza di pochi anni, a testimoniare come piccole variazioni e perfezionamenti fossero una prassi comune di questo metodo artigianale.
La seconda versione del 1955 ricevette nello stesso anno l’importante Segnalazione del Premio Compasso d’Oro, il primo riconoscimento europeo per industriali, artigiani e progettisti, istituito nel 1954 dal grande magazzino milanese La Rinascente.
Le Monofilo presentavano un’intelaiatura metallica, generalmente neutra o verniciata, entro la quale veniva tessuto il filo di nylon, in un essenziale e fitto intreccio che richiedeva, necessariamente, una capacità artigianale d’esecuzione.
Il colore più usato era il bianco, poi il nero, l’acciaio e i toni del blu e del rosso, anche in versione metallizzata. Il filo di nylon di 8/9/10 mm era intrecciato e teso su strutture di tondino di ferro.
Il procedimento prevedeva la collaborazione di un fabbro, probabilmente del quartiere di Santo Spirito, che dalla “dima“, il modello sagomato, poteva riprodurre la medesima forma. Come opzione venne pensato anche un rivestimento della rete di nylon in panno bianco, grigio o nero.
Rimase, invece, solo allo stadio di progetto la possibilità di utilizzare fili di nylon colorati.
La ricerca per la realizzazione della collezione Monofilo proveniva da un insieme di componenti diverse: in primis l’idea dell’oggetto come estratto da una forma geometrica o da combinazioni di varie forme geometriche elementari, che doveva aprire ad una facilitazione della costruzione.
Tale semplificazione doveva essere favorita dall’uso di materiali di costo non elevato e dalla riduzione degli interventi di manodopera.
Per quanto riguarda l’aspetto commerciale Grassi e soci si appoggiavano alla storica azienda fiorentina Paoli, fondata da Emilio Paoli e attiva già nel XIX secolo, che nel corso degli anni Cinquanta era passata agli eredi.
Come testimonia Alberto Paoli, nipote del fondatore, la ditta provvedeva alla commercializzazione e non alla produzione: in sede arrivavano soltanto i pezzi finiti della collezione, realizzati in studio dagli ideatori.
L’uso del nylon fu, dunque, la risposta innovativa sia dell’applicazione dei metodi delle tensostrutture sia dei riferimenti del design americano.
Si pensi a Charles Eames e ai reticolati metallici di Wire Mesh Chair o alla poltrona Diamond di Harry Bertoia, con cui le Monofilo condividono la medesima sensibilità tridimensionale.
La collezione apre, infatti, alla stessa consistenza spaziale, dove le forme organiche ed ergonomiche dei modelli si ridefiniscono ad ogni variazione percettiva.
Una ricerca singolarmente parallela e per molti versi affine a quella di Grassi (sebbene più palesemente riconducibile al traditum autoctono per l’utilizzo di materiali secolari come il legno e la corda), la si riscontra nell’opera del danese Jørgen Høvelskov, ad esempio nelle avvolgenti sinuosità della Viking Chair, immediatamente ribattezzata dalla stampa The Harp Chair e presentata al pubblico in occasione della Fiera di Copenhagen del 1963, nonché nelle linee “spezzate” della, forse ingiustamente, meno nota Lounge chair, sempre degli anni ’60.
Molto del design degli anni successivi, dalla sedia Spaghetti di Giandomenico Belotti e a quello più attuale della serie Tropicalia di Patricia Urquiola, si è concentrato sempre sull’intreccio del materiale plastico, protagonista e non accessorio nell’oggetto, a testimoniare l’attualità delle Monofilo.
La forza innovatrice del lavoro del trio, non ebbe, particolare risonanza negli anni coevi all’elaborazione del progetto, una idea troppo avveniristica, per il periodo e il contesto nella quale è maturata, ma che è riuscita ad influenzare e ad aprire nuove vie di esplorazione.
Fonte: Mu.De.To.