La sedia Margherita del 1951, appartiene a una serie di progetti di Albini risalente all’inizio degli anni Cinquanta, in cui convergevano tecniche tradizionali e un’estetica moderna.
La forma della sedia decisamente tipica del periodo, si rifaceva agli esperimenti contemporanei di designer come Saarinen e gli Eames.
In sostanza è una sorta di secchio appoggiato a un piedistallo che funge da base.
Mentre suoi colleghi sperimentavano però con plastica, fibra di vetro e legno compensato stampato di recente innovazione, Albini scelse il rattan e la canna Indiana, materiali che si lavorano con facilità ed erano facilmente disponibili.
Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, le tradizionali tecniche artigianali, come l’arte della lavorazione del vimini, erano maggiormente accessibili al designer rispetto a processi tecnologici come quello per produrre plastica stampata, che impiegò più tempo per riprendere.
Questa è una delle ragioni per le quali Albini scelse per i suoi progetti di questo periodo la canna d’India.
La ricostruzione economica dell’Italia del dopoguerra può essere stata favorita dalle nuove tecnologie, ma fu realmente sostenuta dalla reinvenzione di materiali tradizionali come questo.
La struttura in canna d’India della sedia Margherita e, in questo senso, concettualmente paragonabile a quella delle sedie in filo metallico del designer americano Harry Bertoia.
In entrambi i casi la sedia e dematerializzata, in quanto il suo volume pare ridotto grazie alla trasparenza in un certo senso, e come se Albini avesse progettato soltanto il telaio della sedia, senza il rivestimento.
Al pari di molti altri designer italiani delta sua generazione, Albini aveva studiato architettura al Politecnico di Milano, laureandosi nel 1929.
Dopo un breve periodo di lavoro con Gio Ponti, aprì un proprio studio nel 1930.
L’architettura di Albini e i suoi progetti di mobili sono considerati raffinati esempi di Razionalismo, una particolare corrente del Modernismo logico nata nella prima meta del secolo in Italia, che diede prova spesso di un uso sensibile dei materiali e di un approccio meticoloso e ponderato alla lavorazione.
Questa straordinaria opera è a catalogo Bonacina 1889.