Tra i numerosi e più importanti progettisti di automobili italiani della meta del XX secolo Dante Giacosa fu uno dei più uniformemente radicali e influenti, soprattutto nel campo delle auto prodotte in serie.
Si potrebbe addirittura affermare che (grazie al lavoro che svolse per la Fiat a partire dal 1928) a lui vada riconosciuto il merito di aver motorizzato gli italiani.
I progetti di questo ingegnere-designer, meno appariscenti di quelli di alcuni suoi contemporanei, erano minuziose esercitazioni nate riprogettando l’automobile a partire da zero.
Giacosa si era laureato in ingegneria al Politecnico di Torino e nei primi anni Trenta, obbedendo alla volontà della Fiat di creare un’auto per le masse, propose un modello a raffreddamento ad acqua e a trazione posteriore, capace di competere con la “macchina del popolo” britannica, la Morris 8, e con la Volkswagen tedesca.
L’idea originaria di un’auto simile si deve a Giovanni Agnelli, il direttore generale della Fiat, in seguito al fallimento di un modello precedente disegnato da Oreste Lardone che aveva preso fuoco.
La versione di Giacosa ebbe maggior successo: di fatto, il modello fu progettato interamente da lui, dal motore alla carrozzeria, il che ne spiega l’aspetto altamente integrato, che riflette il gusto in voga per le forme aerodinamiche e l’inclusione delle diverse componenti in un unico involucro. Solo i fari emergevano dal telaio principale.
A differenza dell’auto che l’aveva preceduta, la più spaziosa americana Chrysler Airflow, a cui senza dubbio deve le sue forme arrotondate e la griglia curva del radiatore, questa Piccola biposto aveva un aspetto grazioso che le valse il nome di “Topolino”, in omaggio all’eroe della Disney.
In Italia la Topolino conobbe un grande successo: tra il 1936 e 1948 delle catene di montaggio della Fiat ne uscirono ben 122.000 esemplari.