Poche forme di spettacolo hanno saputo coniugare realtà della cronaca e invenzione della fantasia con la stessa efficacia del cabaret.
Dietro il linguaggio irridente e sboccato dell’intrattenimento popolare, il cabaret cela la vena di un caustico teatro di denuncia, coniugando divertimento e critica sociale, letteratura e invettiva, canzone e monologo.
Un’inconsueta gamma di registri, che consente al cabaret di interpretare con sconcertante precisione tutte le inquietudini e gli entusiasmi della società viennese ed europea del primo Novecento, di metterne in scena i vizi e le virtù, di additarne le colpe e di farle allo stesso tempo dimenticare.
Teatro d’autore o comunque sempre di piccoli numeri, il cabaret non richiede grandi spazi, ma certo i 440 metri quadri nei quali si muove Hoffmann nel ristrutturare la sala Die Fledermaus sono veramente pochi.
Due gli ambienti in cui si articola il locale: il primo ospita l’ingresso e il bar, animati da un rivestimento di ceramiche policrome raffiguranti disegni, vignette, simboli, caricature, semplici divertissements, ritratti, invenzioni satiriche; il secondo è la sala vera e propria, bianca e grigia, racchiusa da un alto zoccolo in marmo e cinta da una galleria di piccoli palchi.
Per questo piccolo locale Hoffmann disegna una seggiola leggerissima, quasi trasparente.
Gambe verticali; due elementi curvi, uno a terra, l’altro a disegnare schienale e braccioli; un piccolo sedile imbottito.
A irrigidire gli incastri fra elementi verticali e orizzontali, Hoffmann pone una piccola sfera di legno, una sua soluzione classica, che nel progetto originale degli arredi del cabaret era però colorata in contrasto con la struttura della sedia.
Solo un minimo gioco cromatico, eppure un colpo di luce nella penombra della sala.
La sedia del 1907, ora è a catalogo Wittmann. Assolutamente essenziale, condensa in un minimo disegno tutto il sapere di Hoffmann in fatto di proporzioni e tecnica costruttiva. Struttura in faggio curvato originariamente laccato nero o bianco.