L’idea di un mezzo di trasporto mosso dalla sola forza umana si perde nella notte dei tempi.
L’accelerazione che conduce però dai primi approssimativi prototipi di velocipedi e bicicletti alla messa a punto del moderno impianto della bicicletta rimasto sostanzialmente invariato sino a oggi si concentra in meno di cinquant’anni intorno alla metà dell’Ottocento.
Certo furono indispensabili le nuove conoscenze tecniche e la progressiva razionalizzazione del progetto, ma il fattore determinante fu l’affermarsi dei nuovi comportamenti sociali della borghesia, classe tanto laboriosa quanto lontana dalle fatiche del lavoro fisico, quindi disponibile a riempire il proprio tempo libero di svaghi e sane attività fisiche.
Proprio il suo essere frivola e bizzarra (un gioco prima di essere uno strumento) serve a far accettare la natura meccanica della bicicletta, contribuendo in maniera determinante a far si che l’estetica della macchina cominciasse ad affermarsi al di fuori del recinto delle officine.
Il merito di aver sintetizzato molte intuizioni diverse in un primo modello di grande semplicità ed efficacia viene attribuito all’inglese John Kemp Starley, che mise in produzione nel 1885 la rivoluzionaria Rover Safety.
L’efficace trasmissione del moto garantita da un sistema di corone dentate collegate da una catena continua permise di unificare il diametro delle ruote e di collocare pedali e moltiplica nel vertice inferiore del telaio realizzato con tubi d’acciaio Mannesmann.
Negli anni seguenti poche modifiche al telaio saranno sufficienti a razionalizzarne definitivamente la struttura, caratterizzata dal classico telaio a celle triangolari, di grande rigidità e sicurezza.
Oramai solida e funzionale, dotata già nel 1888 dello pneumatico inventato dall’americano John B. Dunlop, la bicicletta e pronta a trasformarsi da passatempo per lo svago in un pratico strumento di lavoro e nel mezzo di locomozione più diffuso al mondo.