La Sitzmaschine rappresenta un elemento eccentrico nella vasta produzione del designer e architetto austriaco Josef Hoffmann (1870-1956), la cui carriera abbraccia più di sei decenni e un’ampia gamma di discipline.
Questa sedia non colpisce solo per la sua forma: il suo nome e la sua monumentalità indicano anche che è stata concepita come un manifesto dei tempi moderni e una celebrazione della rivoluzione industriale, e come la macchina che ha reso obsoleta la figura dell’artigiano.
Nel 1897, insieme al suo mentore Otto Wagner e ad artisti del calibro di Gustav Klimt, Hoffmann è stato uno dei fondatori della Secessione Viennese, la risposta austriaca al movimento internazionale dell’Art Nouveau che voleva introdurre forme più naturali, semplici, pure ed astratte nell’architettura e nelle arti.
Sei anni dopo, Hoffmann fonda con KoIoman Moser e altri la Wiener Werkstätte, una cooperativa di produzione artistica e artigianale che cercava di tradurre questi ideali in prodotti di ottima qualità.
Hoffmann credeva che le decorazioni dovessero essere ridotte al minimo e le forme semplificate al loro stato geometrico.
Lo scopo originario della maggior parte delle sue creazioni era rientrare in uno specifico progetto architettonico elaborato come un Gesamtkunstwerk, “un’opera d’arte totale”.
Uno dei primi incarichi assegnati alla Wiener Werkstätte e stato il Sanatorio di Purkersdorf (1904), un ospizio nei pressi di Vienna. La Sitzmaschine, nota anche come modello n. 670, è uno dei numerosi mobili e oggetti decorativi disegnati da Hoffmann per quell’interno, del quale era anche l’architetto.
Ci si potrebbe chiedere se i pazienti si sentissero a proprio agio su questa poltrona, nonostante la maggior parte dei modelli sia dotata di cuscini per la seduta e lo schienale.
La Sitzmaschine sembrava mozzare il respiro piuttosto che curare, mentre i critici la paragonavano ad una macchina da tortura.
Con la sua struttura rettangolare arrotondata realizzata in legno di faggio trattato col mordente, era una rivisitazione del processo di curvatura del legno, riscoperto dagli architetti viennesi intorno al 1900.
Faceva inoltre chiaramente riferimento ad una sedia dallo schienale regolabile dell’Arts & Crafts Movement, la Morris Chair, disegnata da Philip Webb attorno al 1866.
Nello stesso tempo, la sua sagoma rigorosamente voluminosa, la sua singolare semplicità e le sue forme geometriche anticipavano i progetti radicali di Gerrit Rietveld, mentre l’uso di un’intelaiatura al posto delle quattro gambe e stato in seguito sviluppato dalle strutture tubolari altrettanto rivoluzionarie di Marcel Breuer e del Bauhaus.
Diversa come dalle altre sedie, la Sitzmaschine porta indiscutibilmente la firma di Hoffmann.
La sua struttura circolare, la griglia di quadrati che perfora il supporto rettangolare dello schienale, gli anelli in legno curvato che formano i braccioli e le gambe, i pannelli laterali con il toro reticolato quadrato e rettangolare, e le file di pomelli che in seguito divennero una componente ricorrente nelle sue creazioni, illustravano la fusione di elementi decorativi e strutturali, caratteristica dello stile della Wiener Werkstätte.
Lo schienale poteva essere facilmente regolato muovendo l’asticella situata fra i pomelli dietro i braccioli, dispositivo che faceva della Sitzmaschine una delle prime poltrone manualmente reclinabili nella storia del design.
Lo schienale reclinabile è opera della ditta austriaca Jacob & Josef Kohn.
E’ rimasto in produzione in varie versioni almeno fino al 1916, ma era molto meno adatto per la produzione automatica di quanto suggerivano la sua struttura a vista e la razionale semplificazione delle forme, ed era l’esempio perfetto del problema principale che ha impedito al movimento modernista di raggiungere le masse a cui intendeva rivolgersi.
L’era delle macchine non era ancora all’altezza della qualità superiore che Hoffmann aveva in mente. I prodotti restavano quindi per forza di cose esclusivi e costosi, e questo ha inevitabilmente causato i tramonto della Wiener Werkstätte.