Sono nel giardino dei vicini e nei caffè dei bar. Le trovi sulle terrazze ed in ogni località di vacanza. Sono presenti in ogni paese, in ogni cittadina e città, in ogni megalopoli, in ogni baraccopoli e pure in campagna.
E perfino quando andiamo in un posto davvero sperduto, dove non è stato quasi nessuno, o perlomeno dove si pensa che nessuno sia ancora arrivato, loro sono già lì.
Le sedie monoblocco sono semplicemente dappertutto. Di solito bianche, ma anche bordeaux, verdi o blu. Molti, soprattutto quelli che si sentono in dovere di apprezzare le cose belle, ritengono che queste «poltroncine a braccioli» siano un orrore.
Eppure devono esserci buoni motivi per la loro massiccia diffusione o, se vogliamo, per questa epidemia.
A intervalli di minuti la pressa a iniezione ne sforna un nuovo esemplare. La loro produzione è estremamente economica, il che si riflette nel prezzo vantaggioso.
Non è una sedia da cercare nei negozi particolari di arredamento: la si trova nei supermercati, nei centri bricolage, nei discount e la si può portar via facilmente, grazie al suo peso ridotto.
E se resta dove viene messa, si fa apprezzare per la sua stabilità ed efficacia, e non richiede particolari attenzioni: basta un getto d’acqua per toglierle lo sporco.
A dispetto di chi la critica, è anche relativamente comoda. I critici preferiscono ignorare l’onnipresenza della sedia monoblocco, che non nasce dalla matita di un celebre designer, e ricordano progetti più pregevoli come la Panton Chair, disegnata negli anni ’50 ma la cui produzione ha potuto avere inizio solo alla fine dei ’60, o la sedia Bofinger di Helmut Batzner, la prima sedia monoblocco di plastica prodotta in serie.
In tal modo si ignora che solo la produzione al ritmo di milioni di esemplari a partire dagli anni ’70 ha permesso alla comune sedia di plastica da giardino di acquisire lo status di testimone di un’epoca.
Parecchi designer, si sono tuttavia resi conto che gli sguardi retrospettivi sul nostro tempo non potranno ignorare la sedia monoblocco.
Questa consapevolezza ha portato a vane modifiche, trasformazioni e interpretazioni che hanno in comune un approccio riflessivo e critico nei confronti della nostra produzione di massa.