Questa è una storia straordinaria, la storia di una donna e di una sedia entrambe meravigliose in modo diverso.
Prima c’è lei Lina Bo Bardi, nata a Roma nel 1914, dopo la laurea in architettura conseguita a Roma nel 1939, si trasferisce a Milano dove inizia la sua collaborazione professionale con Carlo Pagani e con lo studio di Giò Ponti.
Nel 1946, insieme con il marito Pietro Maria Bardi, invitato a dirigere il Museo d’Arte di San Paolo, si trasferisce in Brasile (dove morirà nel 1992), luogo che sceglie come propria terra, diventerà infatti cittadina brasiliana.
Lina Bo Bardi amava dilettarsi in diversi campi, quali l’architettura, il design, l’illustrazione, l’editoria e scenografia ed in qualsiasi attività metteva l’essere umano al centro di qualsiasi progetto.
Un’idea nata dalle sue profonde convinzioni etiche e politiche. Parlando alla prima esibizione delle sue opere all’Università di San Paolo nel 1989, si descrisse come stalinista per lealtà, non solo per una visione del mondo comunista ma anche per l’uomo che liberò l’Italia dal fascismo.
Si definiva anche anti-femminista, che all’epoca spesso raffigurava le donne come esseri speciali con un potere “femminile“.
Bo Bardi parlò invece di un’eguaglianza diretta, ispirata da come le donne della classe lavoratrice hanno sempre lavorato fianco a fianco con gli uomini.
Un talento straordinario passato quasi inosservato.
Negli ultimi anni, però da quando una retrospettiva su Bo Bardi è stata un punto saliente della Biennale di Architettura di Venezia del 2010, ha guadagnato il suo riconoscimento postumo, accattivando accademici, curatori e collezionisti in egual misura. Il critico britannico dell’architettura Rowan Moore la descrive addirittura come “l’architetto più sottovalutato del XX secolo“.
E poi c’è la Bowl chair, creata nel 1951 una forma fresca, semisferica, casuale e regolabile, appoggiata su un anello di metallo e quattro gambe.
La cosa veramente straordinaria della Bowl Chair è il suo concetto: un sedile che può essere inclinato e ruotato all’interno della sua cornice per adattarsi alla postura di chi ci si siede.
Il pezzo non è mai stato messo in produzione, ma nel 2015, dopo 64 anni, il marchio italiano Arper (a cui sono stati concessi i diritti per produrre la sedia) ha reintrodotto la sedia Bowl, facendo rivivere il classico modernista di Bo Bardi con le sfumature tecniche del 21° secolo e lo spirito del suo designer anticonformista.
Arper ha lavorato a stretto contatto con l’Istituto Lina Bo e P.M. Bardi, catturando la sua innovazione, studiando attentamente le poche illustrazioni del designer e le uniche due sedie Bowl esistenti (nella sua abitazione di San Paolo): una in pelle nera e l’altra in plastica trasparente.
Pensate quanto avanti nei tempi era Lina Bo Bardi: una bowl chair in pelle nera liscia e acciaio tubolare nero, quindi il massimo del modernismo e l’altra in plastica chiara e cuscino rosso dimostrando quindi una sensibilità pop ben prima del suo tempo.
Arper ha lavorato duramente per interpretare questa sedia in modo che la sua realizzazione fosse in linea con i moderni metodi di produzione, pur cercando di rimanere fedele al design originale.
Realizzata artigianalmente dagli artigiani del marchio, la versione di Arper della sedia è disponibile in pelle nera e in una versione in tessuto con sette diversi colori, ciascuno con cuscini opzionali con colorazioni piene o con motivi geometrici.
Bowl chair è una sedia audace a qualsiasi livello, preveggente per il suo periodo storico: la forma sferica precede la famosa Ball Chair di Eero Aarnio (di cui ho scritto qui) oltre un decennio.