Dopo la seconda guerra mondiale, lo sforzo della ricostruzione economica portò l’industria italiana a concentrare i propri investimenti in oggetti a bassa tecnologia, che avrebbero potuto essere esportati facilmente.
Questa era l’idea che stava dietro allo sviluppo di una serie di prodotti che avrebbero sfruttato l’attrattiva estetica come potente strumento di marketing, e la lampada Luminator era uno questi.
Dal punto di vista concettuale, rappresentava il dettame modernista e confermava l’impegno dei fratelli Castiglioni nei confronti di un design minimalista.
La lampada ridotta ai minimi termini, consiste di un tubo di metallo, il cui diametro è pari alla larghezza del passo della lampadina faretto con bulbo in vetro pressato.
La Luminator fu la prima lampada ad uso domestico, ad utilizzare il faretto, una lampadina al tungsteno con un riflettore sulla sommità.
La semplicità del design permise di tenere bassi i costi di produzione. Oltre alla base a tre gambe, l’unica altra caratteristica di questa lampada è il filo elettrico, dotato di interruttore, che esce dalla base del tubo.
Il successo di questo design non é ascrivibile sottanto alta sua eleganza, ma anche alla sua stabilità strutturate e proprio per queste sue caratteristiche divenne uno dei simboli del design italiano del dopoguerra: fu esportata in grandi quantità e contribuì alla ripresa economica del Paese.
La Luminator, nonostante il suo stile moderno, aveva però un dichiarato precedente storico: questo tipo di illuminazione indiretta era già stato proposto per uso domestico da Pietro Chiesa con la lampada omonima del 1933, di cui ho scritto qui.
In segno di omaggio, i fratelli Castiglioni adottarono lo stesso nome per il design frutto del loro approccio di avanguardia alle soluzioni per l’lluminazione.
A catalogo Flos, prezzo circa 400 euro.